Testo tratto da wikipedia
L'Islam è considerato dai suoi fedeli come l'insieme delle rivelazioni inviate da Allah all'umanità fin dall'epoca del suo primo profeta, Adamo. Dal punto di vista dei musulmani, l'islam non deve quindi essere considerata come ultima in ordine di tempo rispetto alle altre due grandi fedi monoteistiche (Ebraismo e Cristianesimo), ma come l'ennesima riproposizione della volontà divina all'umanità, resa necessaria dalle continue distorsioni (taḥrīf) intervenute come effetto del fluire del tempo e dell'azione (talora maliziosa) degli uomini. Torah (Tōrāh), Salmi, Avesta e Vangelo (Injīl), cui si aggiungeranno in seguito anche i Veda dell'Induismo, sono perciò considerati testi che, in origine, non contenevano rivelazioni diverse da quella coranica. Per questo motivo è corretto definire Maometto "Sigillo dei profeti" (khaṭam al-nabiyyīn) ed è un principio fondamentale per la fede islamica credere che con la sua morte sia terminato per sempre il ciclo profetico, tanto che viene accusato di massima empietà (kufra), e di fatto posto al di fuori dell'Islam, chiunque si azzardasse a dichiararlo riaperto. Nell'Islam non vengono pertanto disconosciuti il Vecchio e il Nuovo Testamento, della cui origine celeste non si discute, riconoscendo per logica conseguenza il carisma dei profeti vetero-testamentari (da Adamo a Noè, da Abramo a Mosè), come pure quello di Gesù. Secondo i musulmani, il Corano è però l'unica e non più modificata affermazione della volontà divina, destinata a perdurare inalterata fino al Giorno del Giudizio. |

Modelli ispiratori
Quali siano stati i modelli religiosi ispiratori è ancora argomento di discussione fra gli storici delle religioni. Se infatti si può parlare, coi dovuti distinguo, di debiti contratti verso il Giudaismo, lo Zoroastrismo, il Cristianesimo orientale e, più ancora, verso il credo delle comunità ebraico-cristiane attive nella stessa Penisola araba - debiti per molti versi e in diversa misura difficilmente negabili - non manca però chi sostiene l'indubbia esistenza di una matrice indigena sud-arabica che affrancherebbe l'Islam da una sorta di tutela strettamente allogena. Del resto non sono episodiche le prove, epigrafiche, artistiche (statuaria votiva) e archeologiche, circa l'esistenza di culti monoteistici negli ambienti culturali sud-arabici e il loro lento accostamento a forme sempre più spiccatamente monoteistiche.[3]
Che l'Islam appartenga al medesimo contesto di valori dell'Ebraismo e del Cristianesimo, viene sottolineato dalla sua inclusione tra le cosiddette religioni abramitiche.[4][5]
Differenze fra i concetti di Islam e Islamismo
in italiano una diversità sostanziale invece esiste, perché con la parola Islam s'intende quell'insieme di atti di fede, di pratiche rituali e di norme comportamentali che è praticato da sunniti e sciiti che, insieme, rappresentano quasi il 99% dei fedeli musulmani, mentre il termine Islamismo indica di fatto una concezione dell'uomo e del mondo che si ispira ai valori dell'Islam ma che si esprime a livello più propriamente politico.
La disciplina che studia l'Islam è tradizionalmente detta in italiano islamistica, e islamisti sono detti i suoi cultori e studiosi. Sennonché, per l'improprio uso fattone da alcuni media generalisti, il termine "islamista" può essere percepito come sinonimo di "estremista islamico", generando disagio per gli studiosi della materia, che potrebbero in alternativa ricorrere al gallicismo islamologi, se esso non risultasse estraneo alla tradizione accademica.[6] Islamistica resta perciò la dizione accademica della branca disciplinare relativa alla cultura dell'Islam.
Altra fonte di confusione terminologica si ha negli ultimi anni con il crescente e improprio uso come sostantivo dell'aggettivo islamico.[7] Il sostantivo che si riferisce a chi professa la religione islamica è infatti musulmano (nell'uso corretto si dovrebbe dire: i musulmani e non gli islamici).
La fede per i musulmani è basata sui "cinque pilastri". Per essere un "uomo dell'Islam" si deve possedere perfettamente la fede (īmān) in questi principi ed esercitare il bene e la pietà (birr). Le parole "Islam" e "salam" (pace) hanno la stessa radice consonantica e sono come fuse. L'Islam si configura quindi come "intima pace dell'uomo con Dio" e il mùslim (musulmano) è colui che si affida con pienezza al Signore. Questo fiducioso abbandono è manifestato dal credente assolvendo per quanto può ai doveri espressi dai cinque arkān al-Islām, vale a dire i cinque "pilastri della fede islamica".
L'Islam non è soltanto una religione, nel senso tecnico del termine (cfr. il latino religio), che si basi principalmente su un'intima persuasione di fede, ma è anche (e non secondariamente) un'ortoprassi, una serie cioè di azioni e comportamenti obbligatori, perché giudicati "corretti".[8] I comportamenti esteriori sono giudicati secondo la sharīʿa, la disciplina legale islamica, mentre per quelli interiori il solo giudice è Dio. Ciò non toglie che, dopo un lungo e animato dibattito teologico durato quasi un secolo,[9] mirante a determinare se per potersi definire "musulmano" bastasse l'imān (la fede) o se invece essa dovesse accompagnarsi o addirittura essere subordinata alle opere (aʿmāl) la risposta è stata quella di dare assoluta preminenza alla prima, tant'è vero che per essere considerato a pieno titolo "musulmano" è sufficiente una seria shahāda, anche se un musulmano non potrà poi esimersi dall'esprimere coerentemente nei fatti della vita la profondità e la sincerità della sua fede. Questo di per sé eliminerebbe la necessità di parlare di un "integralismo islamico", dal momento che l'Islam ha per definizione un approccio "integrale" alla realtà fenomenologica, senza alcuna separazione fra aspetti mondani e ultramondani.
Gli arkān al-Islām ("Pilastri dell'Islam") sono quei doveri assolutamente cogenti per ogni musulmano osservante (pubere e sano di corpo e di mente) per potersi definire a ragione tale. La loro intenzionale evasione comporta una sanzione morale o materiale. Essi sono:
Obblighi morali e sociali
Il musulmano ha dunque il dovere di assolvere al "jihād maggiore", additato letteralmente come "sforzo" o "impegno [del singolo] sulla Strada di Dio" (jahada fī sabīl Allāh), nella speranza di poter vedere nell'Aldilà il Suo Volto (li-wajhihi), grazie alla riuscita impegnativa lotta contro le pulsioni negative del proprio corpo e del proprio spirito.
Nella sua veste "minore", il jihād viene definito e differenziato dalla sharīʿa. Se infatti un'offesa o un'aggressione sono portate dalla dar al-Harb nel cuore della dar al-Islam, l'impegno a prendere le armi per contrastare ed eliminare l'oltraggio incombe su tutta la Umma, mentre se si intendesse realizzare l'espansione dei confini fisici e spirituali della Umma, l'impegno al jihād incomberebbe esclusivamente su volontari espressi dalla Umma. Nel primo caso si parla allora di farḍ ʿayn (obbligo individuale), nel secondo invece di farḍ kifāya (obbligo collettivo).
Generico obbligo è anche quello di "ordinare il bene e vietare il male" (al-amr bi-l-maʿrūf wa-nahy ʿan al-munkar) ovunque essi si presentino, ricorrendo a ogni mezzo lecito e necessario (con la mano, la parola, la penna o la spada), laddove il bene e il male sono determinati esplicitamente da Dio nel Corano, dovendosi intendere come Bene la sua volontà e Male il disobbedirgli.
Nessuna "teologia naturale" è ammessa, che possa far presumere all'intelligenza umana di penetrare razionalmente i confini tra il Volere di Dio e la Sua non-Volontà, essendo la creatura umana tenuta ad assoggettarsi senza distinguo al dettato coranico. In senso letterale, la parola "Islàm" significa infatti sottomissione, abbandono o obbedienza a Dio. Abbandono a un Progetto divino che concerne l'umanità intera e che l'uomo non può conoscere per la sua intrinseca limitatezza, al quale tuttavia esso si dovrà abbandonare, fiducioso della bontà e della misericordia divina.
Dio - al contrario di quanto pensavano i mutaziliti - non concede il libero arbitrio all'uomo, essendo ogni atto (compreso quello umano) creato da Dio. Egli dà all'uomo tutt'al più il possesso (iktisāb) dell'atto compiuto, mentre il presumere di poter creare qualcosa o di penetrare l'insondabile Volontà divina sono peccati di massima superbia, con la conseguenza che il Volere divino dovrà essere accettato senza condizione alcuna da parte delle Sue creature.
Questo avviene non solo nelle pratiche di culto - il cui obbligo non si considera assolto convenientemente senza l'osservanza precisa delle loro minuziose modalità (precise ritualità da osservare nel corso del pellegrinaggio obbligatorio alla Mecca e nei suoi dintorni) -, ma anche nell'ottemperare alle precise e cogenti norme alimentari che, secondo lo schema vetero-testamentario, non si giustificano con motivazioni di carattere razionale, in grado cioè di essere percepite dall'intelligenza umana, ma che devono essere accettate come tutto il resto "senza chiedersi il come e il perché" (bi-lā kayfa).
Assenza di clero
Folla di pellegrini nella Spianata Sacra della Mecca, la città più santa dell'Islam per la presenza della Kaʿba.
Le correnti principali dell'Islam non ammettono né riconoscono clero e tanto meno gerarchie (indirettamente una forma di ambiente clericale esiste però nell'ambito sciita), dal momento che si crede non possa esistere alcun intermediario fra Dio e le Sue creature.
Da non confondere col clero è la categoria degli imam, musulmani che per le loro buone conoscenze liturgiche, sono incaricati dalla maggioranza dei fedeli di condurre nelle moschee la preghiera obbligatoria.
Neppure gli ʿulamāʾ, che si limitano a interpretare il Corano, possono essere avvicinati a una forma di clero, anche se, nell'assolvere alla loro funzione, di fatto tendono a riaffermare il ruolo privilegiato che deve svolgere la religione islamica nella società.
A un ben delimitato ambito giuridico vanno invece ricondotti i mufti, che sono autorizzati a esprimere pareri astratti nelle diverse fattispecie giuridiche, indicando se una data norma sia o meno coerente con l'impianto giuridico islamico.
Similmente deve dirsi dei qāḍī. Di nomina governativa, essi eventualmente sono chiamati a giudicare in base alle norme della sharīʿa all'interno di particolari tribunali (definiti sciaraitici) che un tempo prevalevano nelle società islamiche ma che oggi sono soppiantati dai tribunali statali. Questi ultimi giudicano sulla base di codici, per lo più d'ispirazione occidentale, anche se ispirati alla normativa sciaraitica.
Forma di ricerca interiore, il misticismo dell'Islam, è incarnato dai sufi.
Il fatto di interfacciarsi direttamente col sacro e di non ammettere intermediari tra uomo e Dio non rende necessaria la figura del sacerdote (cui quindi non sono, almeno nel Sunnismo, minimamente assimilabili gli ʿulamāʾ o i mufti). Diverso il caso dello Sciismo, dove gli Ayatollah fungono in qualche misura da intermediazione tra i devoti e l'"Imam nascosto", la cui parusia è attesa alla fine dei tempi ma che agisce ineffabilmente proprio attraverso i dotti.
Di fatto l'assenza del clero è dovuta principalmente ai forti contrasti e divisioni politiche all'interno del mondo islamico che non consentono di trovare una guida unica mondiale.
Scuole giuridiche e teologiche Per approfondire, vedi Fiqh, Kalam e Madhhab.
Distribuzione delle scuole giuridico-religiose islamiche nel mondo.
Se ognuno è sacerdote di sé stesso e responsabile dei suoi errori, il discrimine fra quanto è considerato consono all'Islam e quanto gli è contrario potrà scaturire solo dall'approfondito dibattito fra esperti "dottori" (ʿulamāʾ).
Esiste in materia un pluralismo di scuole giuridiche (madhhab) e teologiche, con numerose diverse interpretazioni di una stessa fattispecie giuridica (salvo, ovviamente, l'impossibilità di discutere gli assetti dogmatici dell'Islam, che non sono contestabili, per non incorrere automaticamente nella condanna di kufra - infedeltà massima - che fa conseguire la qualifica di "eretico" - kāfir, pl. kāfirūn). Tutte le cosiddette "scienze religiose" (ʿulūm dīniyya) tendono alla formazione di un consenso maggioritario (ijmāʿ) circa il modo d'interpretare il disposto coranico e sciaraitico. Tale consenso potrà comunque mutare nel tempo, in caso si esprima in tal senso una nuova maggioranza. Si parla di una vera e propria "polverizzazione" dei modi di giudicare della umma, divisa in numerose scuole teologiche e giuridiche, alle quali potrebbe aggiungere anche l'enorme differenziato panorama costituito dalle confraternite mistiche, tanto che qualcuno ritiene che, più che parlare di Islam, si dovrebbe parlare di "pluralità di Islam" (Islams in inglese).
Culto Mentre il culto per Dio, chiamato Allah, è immutabile e del tutto indifferente all'epoca e allo spazio fisico in cui esso è praticato, la liturgia espressa potrà in varie occasioni adattarsi invece al tempo e al luogo in cui il fedele vive. Ciò è in perfetta coerenza col principio condiviso che l'Islam sia una religione wusṭa, cioè collocata su una linea "mediana" rispetto agli opposti estremi costituiti dall'ateismo da un lato e da un formalismo rigido di facciata, non pervaso dalla reale comprensione e dalla tolleranza nei confronti di chi sbaglia.[12] È nota l'affermazione di Muḥammad, secondo cui l'Islam aborre gli eccessi e il fanatismo, basandosi sull'assunto, più volte ribadito nel Corano, che "Dio non ama gli eccessivi" (II:190; VI:141; VII:31; XVII:26-27; XXV:67; XLIV:31 e LVII:23). Per questo motivo l'estremo rigore sul piano sia della lettera, sia dei contenuti della Legge, corrisponde nei fatti a un'estrema flessibilità.
Testi fondamentali
I testi fondamentali a cui fanno riferimento i musulmani sono, in ordine di importanza:
Per approfondire, vedi Corano.
Accanto alle sacre scritture, e da esse direttamente ispirata, v'è un'immensa letteratura prodotta nei secoli dalla comunità dei dottori appartenenti sia all'Islam sunnita sia a quello sciita: testi di fiqh (giurisprudenza), di kalām (teologia), di tasawwuf (mistica). Non è da trascurarsi infine che, soprattutto per quanto riguarda la mistica islamica o sufismo, molta pregevole letteratura è stata prodotta in versi da autori di espressione araba e persiana soprattutto, ma anche in turco, urdu ecc.
Profeti Per approfondire, vedi Maometto. I musulmani dichiarano che la loro religione si riallaccia direttamente alle tradizioni religiose che sarebbero state predicate dal patriarca biblico Abramo, considerato da Maometto come il suo più autorevole predecessore. La ragione è che l'Islam è (almeno inizialmente) la religione degli arabi, discendenti da Ismaele, mentre gli Ebrei sarebbero i discendenti da Isacco e i Cristiani sarebbero gemmati dall'ebraismo come una setta ebraica che con Paolo di Tarso iniziò ad accogliere anche i non-ebrei. E Ismaele ed Isacco erano figli di Abramo, sebbene il primo fosse di madre araba e il secondo israelita (fatti tuttavia senza particolare significato in una cultura patrilineare e patriarcale). È per questo che, in chiave puramente formale, l'Islam viene classificato come religione abramitica, al pari dell'Ebraismo e del Cristianesimo.
Il primo profeta islamico sarebbe peraltro stato Adamo e, dopo di lui, Nūḥ (Noè). Sono annoverati fra i tanti profeti islamici, dopo Ibrāhīm (Abramo), i suoi figli Isḥāq (Isacco) e Ismāʿīl (Ismaele), Yaʿqūb (Giacobbe), Yūsuf (Giuseppe), Mūsā (Mosè), Dāwūd (Davide), Sulaymān (Salomone), Yaḥyā (Giovanni Battista) e, prima di Muḥammad, ʿĪsā ibn Maryam (cioè Gesù di Nazareth figlio di Maryam, ossia quella che in altro contesto è chiamata Maria, vedi Gesù secondo l'Islam). Maria è considerata anche nel Corano come esempio sublime di devozione femminile a Dio.
Dopo Maometto, chiamato per questo "il sigillo dei profeti" (khātim al-anbiyāʾ), è un dogma per l'Islam che la profezia abbia termine e credere nella riapertura del ciclo profetico è senz'altro considerato dal sunnismo e dallo sciismo kufra.
Gruppi religiosi Per approfondire, vedi Sunnismo e Sciismo.
Stati con popolazione di religione islamica.
Area di diffusione dell'Islam: in arancio il territorio degli Sciiti, in verde quello dei Sunniti.
I musulmani vengono differenziati in:
Concezione del mondo Questa dottrina esposta è la tradizionale concezione dell'Islam elaborata dai pensatori musulmani nei primi cinque secoli (il Corano non ne fa infatti il minimo accenno). Il mondo sarebbe diviso per essa in tre parti
Note
Bibliografia
Quali siano stati i modelli religiosi ispiratori è ancora argomento di discussione fra gli storici delle religioni. Se infatti si può parlare, coi dovuti distinguo, di debiti contratti verso il Giudaismo, lo Zoroastrismo, il Cristianesimo orientale e, più ancora, verso il credo delle comunità ebraico-cristiane attive nella stessa Penisola araba - debiti per molti versi e in diversa misura difficilmente negabili - non manca però chi sostiene l'indubbia esistenza di una matrice indigena sud-arabica che affrancherebbe l'Islam da una sorta di tutela strettamente allogena. Del resto non sono episodiche le prove, epigrafiche, artistiche (statuaria votiva) e archeologiche, circa l'esistenza di culti monoteistici negli ambienti culturali sud-arabici e il loro lento accostamento a forme sempre più spiccatamente monoteistiche.[3]
Che l'Islam appartenga al medesimo contesto di valori dell'Ebraismo e del Cristianesimo, viene sottolineato dalla sua inclusione tra le cosiddette religioni abramitiche.[4][5]
Differenze fra i concetti di Islam e Islamismo
in italiano una diversità sostanziale invece esiste, perché con la parola Islam s'intende quell'insieme di atti di fede, di pratiche rituali e di norme comportamentali che è praticato da sunniti e sciiti che, insieme, rappresentano quasi il 99% dei fedeli musulmani, mentre il termine Islamismo indica di fatto una concezione dell'uomo e del mondo che si ispira ai valori dell'Islam ma che si esprime a livello più propriamente politico.
La disciplina che studia l'Islam è tradizionalmente detta in italiano islamistica, e islamisti sono detti i suoi cultori e studiosi. Sennonché, per l'improprio uso fattone da alcuni media generalisti, il termine "islamista" può essere percepito come sinonimo di "estremista islamico", generando disagio per gli studiosi della materia, che potrebbero in alternativa ricorrere al gallicismo islamologi, se esso non risultasse estraneo alla tradizione accademica.[6] Islamistica resta perciò la dizione accademica della branca disciplinare relativa alla cultura dell'Islam.
Altra fonte di confusione terminologica si ha negli ultimi anni con il crescente e improprio uso come sostantivo dell'aggettivo islamico.[7] Il sostantivo che si riferisce a chi professa la religione islamica è infatti musulmano (nell'uso corretto si dovrebbe dire: i musulmani e non gli islamici).
La fede per i musulmani è basata sui "cinque pilastri". Per essere un "uomo dell'Islam" si deve possedere perfettamente la fede (īmān) in questi principi ed esercitare il bene e la pietà (birr). Le parole "Islam" e "salam" (pace) hanno la stessa radice consonantica e sono come fuse. L'Islam si configura quindi come "intima pace dell'uomo con Dio" e il mùslim (musulmano) è colui che si affida con pienezza al Signore. Questo fiducioso abbandono è manifestato dal credente assolvendo per quanto può ai doveri espressi dai cinque arkān al-Islām, vale a dire i cinque "pilastri della fede islamica".
L'Islam non è soltanto una religione, nel senso tecnico del termine (cfr. il latino religio), che si basi principalmente su un'intima persuasione di fede, ma è anche (e non secondariamente) un'ortoprassi, una serie cioè di azioni e comportamenti obbligatori, perché giudicati "corretti".[8] I comportamenti esteriori sono giudicati secondo la sharīʿa, la disciplina legale islamica, mentre per quelli interiori il solo giudice è Dio. Ciò non toglie che, dopo un lungo e animato dibattito teologico durato quasi un secolo,[9] mirante a determinare se per potersi definire "musulmano" bastasse l'imān (la fede) o se invece essa dovesse accompagnarsi o addirittura essere subordinata alle opere (aʿmāl) la risposta è stata quella di dare assoluta preminenza alla prima, tant'è vero che per essere considerato a pieno titolo "musulmano" è sufficiente una seria shahāda, anche se un musulmano non potrà poi esimersi dall'esprimere coerentemente nei fatti della vita la profondità e la sincerità della sua fede. Questo di per sé eliminerebbe la necessità di parlare di un "integralismo islamico", dal momento che l'Islam ha per definizione un approccio "integrale" alla realtà fenomenologica, senza alcuna separazione fra aspetti mondani e ultramondani.
Gli arkān al-Islām ("Pilastri dell'Islam") sono quei doveri assolutamente cogenti per ogni musulmano osservante (pubere e sano di corpo e di mente) per potersi definire a ragione tale. La loro intenzionale evasione comporta una sanzione morale o materiale. Essi sono:
- la shahāda, o "testimonianza" di fede (affermazione, espressa con retta intenzione, dell'esistenza in Dio Uno e Unico nella missione profetica di Maometto);
- la ṣalāt, preghiera canonica da effettuare 5 volte al giorno, in precisi momenti (awqāt) che sono scanditi dal richiamo dei muʾadhdhin (arabo: مؤذن, muezzin) che operano nelle moschee (oggi spesso sostituiti da registrazioni diffuse con altoparlanti);
- la zakāt, (l'elemosina) devoluta volontariamente a persone bisognose, organizzazioni di carità.(daʿwa);[10]
- Ṣawm ramaḍān (arabo: صوم رمضان), ovvero digiuno - dal sorgere al tramonto del sole - durante il mese lunare di Ramadan per chi sia in grado di sostenerlo senza sensibili inconvenienti di salute;
- ḥajj (arabo: الحج), pellegrinaggio canonico a Mecca e dintorni, nel mese lunare di Dhū l-ḥijja, per chi sia in grado di sostenerlo fisicamente ed economicamente.
Obblighi morali e sociali
Il musulmano ha dunque il dovere di assolvere al "jihād maggiore", additato letteralmente come "sforzo" o "impegno [del singolo] sulla Strada di Dio" (jahada fī sabīl Allāh), nella speranza di poter vedere nell'Aldilà il Suo Volto (li-wajhihi), grazie alla riuscita impegnativa lotta contro le pulsioni negative del proprio corpo e del proprio spirito.
Nella sua veste "minore", il jihād viene definito e differenziato dalla sharīʿa. Se infatti un'offesa o un'aggressione sono portate dalla dar al-Harb nel cuore della dar al-Islam, l'impegno a prendere le armi per contrastare ed eliminare l'oltraggio incombe su tutta la Umma, mentre se si intendesse realizzare l'espansione dei confini fisici e spirituali della Umma, l'impegno al jihād incomberebbe esclusivamente su volontari espressi dalla Umma. Nel primo caso si parla allora di farḍ ʿayn (obbligo individuale), nel secondo invece di farḍ kifāya (obbligo collettivo).
Generico obbligo è anche quello di "ordinare il bene e vietare il male" (al-amr bi-l-maʿrūf wa-nahy ʿan al-munkar) ovunque essi si presentino, ricorrendo a ogni mezzo lecito e necessario (con la mano, la parola, la penna o la spada), laddove il bene e il male sono determinati esplicitamente da Dio nel Corano, dovendosi intendere come Bene la sua volontà e Male il disobbedirgli.
Nessuna "teologia naturale" è ammessa, che possa far presumere all'intelligenza umana di penetrare razionalmente i confini tra il Volere di Dio e la Sua non-Volontà, essendo la creatura umana tenuta ad assoggettarsi senza distinguo al dettato coranico. In senso letterale, la parola "Islàm" significa infatti sottomissione, abbandono o obbedienza a Dio. Abbandono a un Progetto divino che concerne l'umanità intera e che l'uomo non può conoscere per la sua intrinseca limitatezza, al quale tuttavia esso si dovrà abbandonare, fiducioso della bontà e della misericordia divina.
Dio - al contrario di quanto pensavano i mutaziliti - non concede il libero arbitrio all'uomo, essendo ogni atto (compreso quello umano) creato da Dio. Egli dà all'uomo tutt'al più il possesso (iktisāb) dell'atto compiuto, mentre il presumere di poter creare qualcosa o di penetrare l'insondabile Volontà divina sono peccati di massima superbia, con la conseguenza che il Volere divino dovrà essere accettato senza condizione alcuna da parte delle Sue creature.
Questo avviene non solo nelle pratiche di culto - il cui obbligo non si considera assolto convenientemente senza l'osservanza precisa delle loro minuziose modalità (precise ritualità da osservare nel corso del pellegrinaggio obbligatorio alla Mecca e nei suoi dintorni) -, ma anche nell'ottemperare alle precise e cogenti norme alimentari che, secondo lo schema vetero-testamentario, non si giustificano con motivazioni di carattere razionale, in grado cioè di essere percepite dall'intelligenza umana, ma che devono essere accettate come tutto il resto "senza chiedersi il come e il perché" (bi-lā kayfa).
Assenza di clero
Folla di pellegrini nella Spianata Sacra della Mecca, la città più santa dell'Islam per la presenza della Kaʿba.
Le correnti principali dell'Islam non ammettono né riconoscono clero e tanto meno gerarchie (indirettamente una forma di ambiente clericale esiste però nell'ambito sciita), dal momento che si crede non possa esistere alcun intermediario fra Dio e le Sue creature.
Da non confondere col clero è la categoria degli imam, musulmani che per le loro buone conoscenze liturgiche, sono incaricati dalla maggioranza dei fedeli di condurre nelle moschee la preghiera obbligatoria.
Neppure gli ʿulamāʾ, che si limitano a interpretare il Corano, possono essere avvicinati a una forma di clero, anche se, nell'assolvere alla loro funzione, di fatto tendono a riaffermare il ruolo privilegiato che deve svolgere la religione islamica nella società.
A un ben delimitato ambito giuridico vanno invece ricondotti i mufti, che sono autorizzati a esprimere pareri astratti nelle diverse fattispecie giuridiche, indicando se una data norma sia o meno coerente con l'impianto giuridico islamico.
Similmente deve dirsi dei qāḍī. Di nomina governativa, essi eventualmente sono chiamati a giudicare in base alle norme della sharīʿa all'interno di particolari tribunali (definiti sciaraitici) che un tempo prevalevano nelle società islamiche ma che oggi sono soppiantati dai tribunali statali. Questi ultimi giudicano sulla base di codici, per lo più d'ispirazione occidentale, anche se ispirati alla normativa sciaraitica.
Forma di ricerca interiore, il misticismo dell'Islam, è incarnato dai sufi.
Il fatto di interfacciarsi direttamente col sacro e di non ammettere intermediari tra uomo e Dio non rende necessaria la figura del sacerdote (cui quindi non sono, almeno nel Sunnismo, minimamente assimilabili gli ʿulamāʾ o i mufti). Diverso il caso dello Sciismo, dove gli Ayatollah fungono in qualche misura da intermediazione tra i devoti e l'"Imam nascosto", la cui parusia è attesa alla fine dei tempi ma che agisce ineffabilmente proprio attraverso i dotti.
Di fatto l'assenza del clero è dovuta principalmente ai forti contrasti e divisioni politiche all'interno del mondo islamico che non consentono di trovare una guida unica mondiale.
Scuole giuridiche e teologiche Per approfondire, vedi Fiqh, Kalam e Madhhab.
Distribuzione delle scuole giuridico-religiose islamiche nel mondo.
Se ognuno è sacerdote di sé stesso e responsabile dei suoi errori, il discrimine fra quanto è considerato consono all'Islam e quanto gli è contrario potrà scaturire solo dall'approfondito dibattito fra esperti "dottori" (ʿulamāʾ).
Esiste in materia un pluralismo di scuole giuridiche (madhhab) e teologiche, con numerose diverse interpretazioni di una stessa fattispecie giuridica (salvo, ovviamente, l'impossibilità di discutere gli assetti dogmatici dell'Islam, che non sono contestabili, per non incorrere automaticamente nella condanna di kufra - infedeltà massima - che fa conseguire la qualifica di "eretico" - kāfir, pl. kāfirūn). Tutte le cosiddette "scienze religiose" (ʿulūm dīniyya) tendono alla formazione di un consenso maggioritario (ijmāʿ) circa il modo d'interpretare il disposto coranico e sciaraitico. Tale consenso potrà comunque mutare nel tempo, in caso si esprima in tal senso una nuova maggioranza. Si parla di una vera e propria "polverizzazione" dei modi di giudicare della umma, divisa in numerose scuole teologiche e giuridiche, alle quali potrebbe aggiungere anche l'enorme differenziato panorama costituito dalle confraternite mistiche, tanto che qualcuno ritiene che, più che parlare di Islam, si dovrebbe parlare di "pluralità di Islam" (Islams in inglese).
Culto Mentre il culto per Dio, chiamato Allah, è immutabile e del tutto indifferente all'epoca e allo spazio fisico in cui esso è praticato, la liturgia espressa potrà in varie occasioni adattarsi invece al tempo e al luogo in cui il fedele vive. Ciò è in perfetta coerenza col principio condiviso che l'Islam sia una religione wusṭa, cioè collocata su una linea "mediana" rispetto agli opposti estremi costituiti dall'ateismo da un lato e da un formalismo rigido di facciata, non pervaso dalla reale comprensione e dalla tolleranza nei confronti di chi sbaglia.[12] È nota l'affermazione di Muḥammad, secondo cui l'Islam aborre gli eccessi e il fanatismo, basandosi sull'assunto, più volte ribadito nel Corano, che "Dio non ama gli eccessivi" (II:190; VI:141; VII:31; XVII:26-27; XXV:67; XLIV:31 e LVII:23). Per questo motivo l'estremo rigore sul piano sia della lettera, sia dei contenuti della Legge, corrisponde nei fatti a un'estrema flessibilità.
Testi fondamentali
I testi fondamentali a cui fanno riferimento i musulmani sono, in ordine di importanza:
Per approfondire, vedi Corano.
- il Corano (letteralmente "Recitazione"), che è considerato dai musulmani espresso parola per parola da Dio (Allah). I musulmani ritengono che Maometto abbia ricevuto il Corano da Dio attraverso l'Arcangelo Gabriele, che glielo avrebbe rivelato in lingua araba.[13] È per questo che i fondamentali atti liturgici islamici sono recitati in tale idioma in tutto il mondo musulmano. Dopo la Rivelazione ricevuta da Maometto l'Islam crede, per dogma, che nessun altro profeta sarà più identificato da Dio fra gli uomini. Volendo fare un paragone con il Cristianesimo, il Corano, più che al Nuovo Testamento, è assimilabile al Cristo stesso, in quanto "Verbo di Dio". Secondo i fedeli, il Corano non venne messo immediatamente per iscritto: Maometto, secondo un'ipotesi fatta propria anche dai musulmani, sarebbe stato analfabeta.[14] e che il Corano sarebbe stato perfettamente assimilato da lui per grazia divina, sì da poterlo recitare senza esitazioni e impacci ai suoi seguaci che, sovente, lo memorizzarono a loro volta. Solo più tardi (sotto il califfo Uthman) fu messo per iscritto (dai kuttāb) e sistemato con una serie di accorgimenti grafici (i punti diacritici delle varie consonanti arabe omografe e le vocali, o ḥarakāt), all'epoca del governatorato dell'omayyade al-Ḥajjāj b. Yūsuf, verso la fine del VII secolo-inizi dell'VIII. Epoca dopo la quale il testo sacro è rimasto assolutamente immutato.
- la Sunna (letteralmente "consuetudine") è costituita da una serie di detti, fatti, silenzi o inazioni, di Maometto. Essa è dunque basata su ḥadīth (tradizioni giuridico-religiose), raccolti e tramandati da testimoni ritenuti sicuri. È stata messa in forma scritta solo nel III secolo del calendario islamico (IX secolo) nei Sei libri (al-kutub al-sitta), i più importanti dei quali sono universalmente considerati dai musulmani quelli di Bukhārī e di Muslim mentre gli altri furono composti da Ibn Māja, al-Nasāʾī, al-Tirmidhī e Abū Dāwūd al-Sījistānī. Gli sciiti affiancano loro le opere quali l'al-Kāfī fī ʿilm al-dīn di Abū Jaʿfar Muḥammad b. Yaʿqūb al-Kulīnī/al-Kulaynī (m. 939); il Kitāb man lā yaḥḍuruhu l-faqīh di Abū Jaʿfar Muḥammad b. ʿAlī, altrimenti noto come al-Bābūya al-Qummī (m. 991) e il Tahdhīb al-aḥkām di Abū Jaʿfar Muḥammad b. al-Ḥasan al-Ṭūsī (m. 1067 o 1068).
- il Vangelo (chiamato Injīl);
- i Salmi (chiamati al-Zabūr);
- la Tōrāh (chiamata Tawrā);
- l'Avesta zoroastriano.
Accanto alle sacre scritture, e da esse direttamente ispirata, v'è un'immensa letteratura prodotta nei secoli dalla comunità dei dottori appartenenti sia all'Islam sunnita sia a quello sciita: testi di fiqh (giurisprudenza), di kalām (teologia), di tasawwuf (mistica). Non è da trascurarsi infine che, soprattutto per quanto riguarda la mistica islamica o sufismo, molta pregevole letteratura è stata prodotta in versi da autori di espressione araba e persiana soprattutto, ma anche in turco, urdu ecc.
Profeti Per approfondire, vedi Maometto. I musulmani dichiarano che la loro religione si riallaccia direttamente alle tradizioni religiose che sarebbero state predicate dal patriarca biblico Abramo, considerato da Maometto come il suo più autorevole predecessore. La ragione è che l'Islam è (almeno inizialmente) la religione degli arabi, discendenti da Ismaele, mentre gli Ebrei sarebbero i discendenti da Isacco e i Cristiani sarebbero gemmati dall'ebraismo come una setta ebraica che con Paolo di Tarso iniziò ad accogliere anche i non-ebrei. E Ismaele ed Isacco erano figli di Abramo, sebbene il primo fosse di madre araba e il secondo israelita (fatti tuttavia senza particolare significato in una cultura patrilineare e patriarcale). È per questo che, in chiave puramente formale, l'Islam viene classificato come religione abramitica, al pari dell'Ebraismo e del Cristianesimo.
Il primo profeta islamico sarebbe peraltro stato Adamo e, dopo di lui, Nūḥ (Noè). Sono annoverati fra i tanti profeti islamici, dopo Ibrāhīm (Abramo), i suoi figli Isḥāq (Isacco) e Ismāʿīl (Ismaele), Yaʿqūb (Giacobbe), Yūsuf (Giuseppe), Mūsā (Mosè), Dāwūd (Davide), Sulaymān (Salomone), Yaḥyā (Giovanni Battista) e, prima di Muḥammad, ʿĪsā ibn Maryam (cioè Gesù di Nazareth figlio di Maryam, ossia quella che in altro contesto è chiamata Maria, vedi Gesù secondo l'Islam). Maria è considerata anche nel Corano come esempio sublime di devozione femminile a Dio.
Dopo Maometto, chiamato per questo "il sigillo dei profeti" (khātim al-anbiyāʾ), è un dogma per l'Islam che la profezia abbia termine e credere nella riapertura del ciclo profetico è senz'altro considerato dal sunnismo e dallo sciismo kufra.
Gruppi religiosi Per approfondire, vedi Sunnismo e Sciismo.
Stati con popolazione di religione islamica.
Area di diffusione dell'Islam: in arancio il territorio degli Sciiti, in verde quello dei Sunniti.
I musulmani vengono differenziati in:
- Sunniti, che sono la grande maggioranza in quasi tutti i paesi islamici (tranne l'Iran, l'Iraq e l'Oman).
- Sciiti, che costituiscono la minoranza più consistente (circa il 10%). Essi si richiamano all'eredità di ʿAlī ibn Abī Ṭālib, cugino e genero di Muḥammad, e dei suoi figli al-Ḥasan b. ʿAlī e, più in particolare, di al-Ḥusayn b. ʿAlī. Dominante in Iran, lo Sciismo è maggioritario in Iraq, in Libano e in Bahrein. Gli sciiti si dividono a loro volta in:
- un gruppo maggioritario (duodecimano, o imamita o ithnaʿashariyya),
- un gruppo minoritario (ismailita, o settimano o sabaʿiyya). Gruppi di Ismaeliti sono presenti in India,
- un gruppo più esiguo, detto "zaydita" e prevalente in Yemen, teorizza la possibilità che a guidare legittimamente la Comunità islamica (Umma) possa essere qualsiasi discendente del Profeta purché questi agisca concretamente contro i musulmani usurpatori del califfato e reprobi, con deciso impegno militante e che non lasci spazio a un comodo quietismo limitato a un'attività puramente teoretica.
- Kharigiti, un tempo abbastanza diffusi, specialmente in Nordafrica, Iraq e Penisola araba, si dividevano in numerosi sottogruppi - sufriti, Azraqiti, Najadāt, Nukkariti - di cui sussistono solo gli:
- Ibaditi, oggi maggioritari nel solo Oman, ma presenti anche in qualche località del Nordafrica e dell'Africa Orientale.
- Gli Alawiti, appartenenti a una setta minoritaria d'ispirazione sciita ma con forti tratti gnosticheggianti. Esprime il gruppo dirigente in Siria fin dall'epoca del Presidente Ḥāfiẓ al-Asad.
- I Drusi, di originaria ispirazione ismailita (ma presto abbondantemente diversificatisi), sorti in età fatimide all'epoca dell'Imàm al-Hākim e presenti in Libano, nella regione montagnosa dello Shūf, in Siria (Golan, Gebel Druso) e Israele.
- I Bahá'í, a loro volta gemmati dal Babismo, costretti dalla Rivoluzione Islamica dell'Iran a rifugiarsi in India e in Occidente (soprattutto Canada e Stati Uniti). Sono considerati tuttavia appartenenti a una religione completamente distaccata dall'Islam, e non una sua eterodossia.
- Gli Aleviti appartenenti a una setta minoritaria d'ispirazione sciita duodecimana, ma con forti aspetti prossimi allo gnosticismo. Sono presenti soprattutto in Turchia dove rappresentano almeno il 15% della popolazione.
- Gli Ahl-e Haqq, presenti in Iraq e in Iran, di ispirazione sciita ma marcatamente eterodossa.
- Gli Ahmadiyya di Qādyān (India settentrionale) e Lahore (Pakistan), fondati da Mirza Ghulam Ahmad.
- I Sikh, presenti in India, sono nati dopo Muhammad e ritengono validi alcuni punti del credo islamico (tra cui il monoteismo). Sono considerati tuttavia appartenenti a una religione completamente distaccata dall'Islam, e non una sua eteroossia.
- La Nation of Islam presente negli Stati Uniti, di ispirazione sunnita ma marcatamente eterodossa, tanto da essere considerati dagli storici delle religioni come appartenenti a una religione ormai completamente distaccata dall'Islam, e non una sua eterodossia.
Concezione del mondo Questa dottrina esposta è la tradizionale concezione dell'Islam elaborata dai pensatori musulmani nei primi cinque secoli (il Corano non ne fa infatti il minimo accenno). Il mondo sarebbe diviso per essa in tre parti
- La Casa della Pace, "Dār al-Salām" o "Dār al-Islām", "la Casa dell'Islam", dove vivono i musulmani sotto la protezione della Legge islamica e i popoli sottomessi - dhimmi (dhimmī) - appartenenti cioè a fedi diverse da quella islamica e sottoposti al pagamento di un tributo personale, la jizya, che garantisce loro la "protezione" da parte dello Stato islamico. Le interpretazioni dei teologi musulmani differiscono sulla possibilità di accettare come dhimmī fedeli di religioni differenti da quella dei cristiani, ebrei, zoroastriani e sabei ma, storicamente, si accettò anche l'Induismo come religione proteggibile, in quanto esso poteva vantare un testo scritto (i Veda) che fu considerato anch'esso ispirato divinamente.
- La Casa della Tregua, "Dār al-Hudna", dove vivono i popoli non sottomessi con i quali è stata conclusa una tregua temporanea nell'attesa di riprendere le ostilità per l'affermazione universale dell'Islamismo.
- La Casa della Guerra, "Dār al-ḥarb", dove vivono tutti i popoli non sottomessi. Gli infedeli sono penalizzati dalla non-conoscenza di Dio, che naturalmente genera ingiustizia e quindi violenza.
Note
- ^ Semitic Roots dall'American Heritage Dictionary; in particolare, Islàm (da pronunciarsi con l'accento sulla seconda sillaba) è il 'masdar' del verbo aslama, di quarta forma, che significa "consegnarsi completamente, rendere piena la propria resa, sottomettere tutto sé stesso"
- ^ Vedi i dati riportati su World Religions Religion Statistics Geography Church Statistics
- ^ Claudio Lo Jacono, «La cultura araba preislamica». Relazione presentata al convegno Internazionale Corano e Bibbia organizzato da Biblia (Napoli, 24-26 ottobre 1997). Atti a cura di R. Tottoli, Morcelliana, Brescia, 2000, pp. 117-131.
- ^ Religion, Religions, Religious, essay by Jonathan Z. Smith, published in book: fifteen in Mark C. Taylor (a cura di), Critical Terms for Religious Studies, University of Chicago Press [1998], pp. 430. ISBN 978-0226791562
- ^ Jacques Derrida, Once More, Once More: Derrida, the Jew, the Arab, introduction to Gil Anidjar, Acts of Religion, Routledge, New York & London, 2001.
- ^ Si veda anche Franco Cardini nella nota 2 a p. 14 del suo "Al-Andalus al tempo di Moshe ben Maimon", in (a cura di Geri Cerchiai e Giovanni Rota) Maimonide e il suo tempo, Franco Angeli, Milano, 2007.
- ^ Cfr. il Dizionario Enciclopedico Italiano (DEI) dell'Istituto Treccani, vol. VI: «islàmico agg. (pl. m. -ci). Dell'Islam: religione i., cultura i.; più genericam., che appartiene all'islamismo, inteso non solo come religione ma come sistema politico, sociale e culturale: popolazioni i.; il mondo i.; la civiltà islamica».
- ^ Denominati ʿibādāt se riferiti alle attività cultuali, muʿāmalāt se riferiti alle relazioni tra gli uomini.
- ^ Il voler subordinare la fede alle opere fu la logica perseguita dagli Omayyadi per motivi essenzialmente politici e fiscali, al fine cioè di poter seguitare a percepire le imposte non-islamiche anche da chi - i mawālī - si era invece convertito, pur senza aver ancora bene imparato le ritualità e le liturgie previste dall'Islam.
- ^ Numerosi versi del Corano (2,62; 5,69; 18,88; 25,70) equiparano la "fede" religiosa (īmān) e l' "opera pia" (ʿamal ṣāliḥ) di cui la zakāt rappresenta l'eccellenza.
- ^ Il sostantivo è maschile in arabo ed è del tutto scorretto renderlo femminile per la persistente volontà di tradurlo esclusivamente come "guerra".
- ^ Si veda in merito quanto affermato da Ahmad ibn Hanbal e dal suo tardo epigono, Ibn Taymiyya, secondo cui «un musulmano non deve mai stancarsi di ammonire il fratello che sbaglia», rendendo così illegittima qualsiasi sanzione personale del peccatore.
- ^ Questa posizione è stata contestata, recentemente, da Cristoph Luxenberg Die syro-aramaeische Lesart des Koran; Ein Beitrag zur Entschlüsselung der Qur'ansprache, Berlino, 2000, il quale - nel solco della corrente degli studiosi iper-scettici che fa capo a John Wansbrough - considera invece che la composizione originale del Corano sia avvenuta in ambito siro-aramaico.
- ^ Il suo analfabetismo serve a stornare da lui il sospetto che la rivelazione coranica fosse nient'altro che una sua composizione poetica e che Maometto fosse per ciò stesso invasato dai jinn, ispiratori dei poeti ma anche apportatori di follia,
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